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Racconto della quinta giornata di tappa

Racconta Andrea Marcolongo nel suo recente libro “La misura eroica” che “La nave Argo salpò dall’isola di Drepane all’alba. La brezza le veniva incontro lieve, il cielo era sereno. Gli argonauti avanzavano veloci verso casa e il profilo del Peloponneso già si intravedeva, velato di bruma, all’orizzonte. Ma il fato aveva stabilito che gli eroi non giungessero alla terra greca senza aver prima sofferto nelle remote regioni della Libia. All’improvviso una furibonda tempesta si abbatté sulla nave, trascinandola senza meta per nove giorni e nove notti, fino a che non finì insabbiata...” ecc. ecc. 

Qualcosa di simile è accaduto anche a noi, ieri, durante l’ultima tappa del cammino - sulla carta la più facile.

Meno di 24 km, con dislivello quasi nullo. Niente, al confronto di quanto già fatto!

Ma ad un passo dalla meta, il peggiore dei venti contrari è sembrato abbattersi violento sulle nostre vele.

Questo vento si chiama sfiducia.

Prende coloro che dopo aver già camminato per oltre 130 km ed essendo ormai a 5,6 chilometri dalla meta, non vedendola arrivare e provati dalla fatica accumulata, cominciano a pensare che tutto sia stato un inganno, uno scherzo del destino. Che non esista meta, che non esista traguardo.

Così si prendono a controllare ossessivamente le mappe, i navigatori satellitari, le applicazioni più sofisticate, non per motivarsi a resistere, ma per trovare argomenti a supporto della tesi che sia stato folle credere alla promessa del viaggio, che “abbiamo sbagliato tutto”, “ma perché siamo partiti?” e così via.

Del resto già Ignazio di Loyola, nelle sue regole per il discernimento degli spiriti, insegna con il linguaggio del suo tempo che il diavolo - operando per impedire all’uomo di raggiungere il proprio fine, cioè il Bene – si adoperi con tentazioni sempre più sottili per indurre alla rinuncia. Come quando nella vita di tutti i giorni allo slancio subentra il “realismo” di chi ritiene che non valga la pena darsi da fare, che sia insensato sperare che le cose intorno a noi possano cambiare.

Per questo abbiamo avuto bisogno di guardarci ancora una volta negli occhi e di un surplus di determinazione, per non lasciare che un tale virus potesse sottrarci il piacere infinito del traguardo, del “ce l’abbiamo fatta!”.

Perché così è stato: alle ore 15.00 dell’8 Aprile 2018, un gruppo di temerari studenti dell’ITI Faraday di Ostia tagliava il traguardo di Bolsena dopo cinque giorni di cammino e 137 chilometri di strada percorsa sulle rotte della via Francigena, partiti da Siena.


Così chiude il suo libro Marcolongo:
“Lo stesso sorriso che dovremmo avere noi ogni volta che torniamo nella nostra intima Iolco. Meglio perdersi che non trovarsi mai, io credo. Meglio aver viaggiato tanto che aver passato una vita fermi sul porto a rimpiangere il mare. Come gli Argonauti, che tanto avevano navigato per tornare a casa “colmi di gioia”. 

Tenere a mente il sapore di questa gioia, della gioia quando è bella e vera, è forse il percorso che ora si apre, per tornare ancora presto a riveder le stelle!